Resumen
El paisaje sagrado es el centro de la existencia, independientemente de su ubicación y materialidad. El concepto de "paisaje sagrado" constituye, de hecho, un lugar indefinido, sin fronteras pero donde se contienen presencias tangibles y tridimensionales que construyen el espacio en el que vivimos. Es precisamente la percepción tridimensional la que caracteriza la arquitectura a la que tenemos que acercarnos a la cuarta dimensión, es decir, la dimensión temporal, y por tanto la presencia del "tiempo" lo que nos ayuda a analizar la evolución y transformación de la materialidad. Esta contribución tiene como objetivo desarrollar una reflexión sobre el concepto de lugar y lugares de religiosidad y ritos, entendidos como un espacio material e intangible al mismo tiempo y donde el hombre se encuentra con su Dios, él mismo y la comunidad independientemente de dónde se haya ubicado este lugar y cómo se hizo. Se prestará especial atención al significado del valor sagrado y a cómo este concepto se regenera constantemente en la vida cotidiana de cada hombre.
Palabras clave:
I LUOGHI DELLA RELIGIOSITÀ E DEI RITI IN UNA VISIONE SOSTENIBILE
Olimpia Niglio
I LUOGHI DELLA RELIGIOSITÀ E DEI RITI IN UNA VISIONE SOSTENIBILE
Quintana: revista do Departamento de Historia da Arte, no. 20, 2021
Universidade de Santiago de Compostela
THE PLACES OF RELIGIOSITY AND RITUALS IN A SUSTAINABLE VISION
Olimpia Niglio a
Hosei University, Japón
Copyright © Universidade de Santiago de Compostela
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Resumen: El paisaje sagrado es el centro de la existencia, independientemente de su ubicación y materialidad. El concepto de "paisaje sagrado" constituye, de hecho, un lugar indefinido, sin fronteras pero donde se contienen presencias tangibles y tridimensionales que construyen el espacio en el que vivimos. Es precisamente la percepción tridimensional la que caracteriza la arquitectura a la que tenemos que acercarnos a la cuarta dimensión, es decir, la dimensión temporal, y por tanto la presencia del "tiempo" lo que nos ayuda a analizar la evolución y transformación de la materialidad. Esta contribución tiene como objetivo desarrollar una reflexión sobre el concepto de lugar y lugares de religiosidad y ritos, entendidos como un espacio material e intangible al mismo tiempo y donde el hombre se encuentra con su Dios, él mismo y la comunidad independientemente de dónde se haya ubicado este lugar y cómo se hizo. Se prestará especial atención al significado del valor sagrado y a cómo este concepto se regenera constantemente en la vida cotidiana de cada hombre.
Palabras clave: lugar; no lugar; vacío; límite; sagrado.
Abstract: The sacred landscape is the center of existence, regardless of its location and materiality. The concept of “sacred landscape” constitutes, in fact, an indefinite place, without borders but where tangible and three-dimensional presences are contained that build the space that we live in. It is precisely the three-dimensional perception that characterizes the architecture to which we have to approach the fourth dimension, that is, the temporal dimension, and therefore the presence of “time” that helps us to analyze the evolution and transformation of materiality. This contribution aims to develop a reflection on the concept of place and places of religiosity and rites, understood as a material and intangible space at the same time and where man meets his God, himself and the community regardless of where he has located this place and how it was made. Particular attention will be given to the meaning of the sacred value and how this concept is constantly regenerated in the daily life of every man.
Keywords: place; not place; empty; limit; sacred.
[…] il luogo è simultaneamente principio di senso
per coloro che l’abitano e principio di intelligibilità
per colui che l’osserva.
Marc Augé, Nonluoghi (2009)
Introduzione
In una recente relazione nell’ambito del progetto di ricerca titolato “Genius Loci” curato dalla Donatella Caramia dell’Università di Tor Vergata in Roma, Paolo Portoghesi afferma che […] il rapporto con il luogo consiste nell’ascoltarlo e mettersi in sintonia con esso quasi fosse una persona, un genius loci (Portoghesi 2020). Infatti, i luoghi non sono altro che frammenti di uno spazio all’interno di una realtà molto più ampia che è il pianeta su cui viviamo.
Questo approccio ecologico che trova le sue radici negli studi di Ernst Haeckel (1834-1919) biologo tedesco (Gasman 1998), è alla base del progetto di ricerca internazionale (2019-2021) che è stato coordinato dalla scrivente di questo contributo insieme con il paesaggista Kim Sung-Kyun della Seoul National University e finanziato dalla Korea Foundation (Repubblica di Corea). Il progetto “Public Space and Cultural Landscapes. A harmonious dialogue between man, urban space and nature for a sustainable city” analizza i differenti paradigmi culturali e le diverse esperienze, tra Estremo Oriente ed Estremo Occidente, che hanno caratterizzato le relazioni tra comunità e luogo nel rispetto delle leggi della natura.
Il luogo, in quanto paesaggio culturale, definisce le caratteristiche e le relazioni che l’uomo stabilisce e costruisce nel contesto in cui vive. Il luogo diventa così lo specchio delle tradizioni culturali locali. Nel caso specifico della suddetta ricerca questa ha consentito di iniziare un percorso di indagine finalizzata proprio a rilevare le diversità culturali con cui si è intervenuti nei differenti territori nel definire e strutturare un luogo. Ovviamente l’approccio metodologico ha richiesto un’ampia apertura verso le scienze sociali e in particolare della sociologia urbana e dell’antropologia, al fine di sperimentare modelli di lettura del territorio senza con ciò sfociare in convenzioni universali ma piuttosto proponendo criteri analitici e progettuali focalizzati sulle singole realtà. Così il rapporto tra uomini e luoghi, e il ruolo che questi ultimi hanno nel processo di formazione dell’identità individuale e collettiva di un territorio, rappresenta un tema centrale della geografia ma anche delle discipline storiche che collaborano alla lettura fornendo un interessante contributo sulla stratificazione delle modifiche apportate fino ai nostri giorni (De Vecchis, Palagiano 2003; Tolia-Kelly 2004). Pertanto, su questa corrispondenza transdisciplinare si sviluppano le considerazioni che seguono in merito alle differenti esperienze del concetto di luogo con una declinazione sul tema del sacro. In particolare, questo contributo intende proporre anche alcune considerazioni, quali risultati di osservazioni dirette nonché di studi realizzati sui territori citati. Sicuramente le diversità culturali con cui chi scrive è abituato a confrontarsi quotidianamente, costituiscono dei riferimenti fondamentali che tuttavia non sempre rendono possibile un discorso lineare secondo i canoni occidentali ma ci si augura interessanti per aprire nuove prospettive metodologiche e di ricerca.
L’esperienza del luogo
Il concetto di luogo trova origine dal latino lŏcus ed indica uno spazio idealmente o materialmente circoscritto ma il cui significato descrive principalmente valori, emozioni e tradizioni che ogni individuo è in grado di percepire e di realizzare al tempo stesso. Il luogo, tuttavia, non va percepito solo come spazio matematico e cartesianamente definito anche lì dove non c’è nulla rendendo possibile l’infinito come successione di parti finite, bensì il luogo è rappresentazione della relazione tra l’uomo e le cose. Come affermava anche il teologo Romano Guardini un luogo esiste se è in grado di stabilire una relazione dialogica con chi abita questo luogo e quindi con gli esseri viventi e il paesaggio. Solo quanto si stabilisce questo rapporto dialogico tra uomo e luogo questo stesso assume una “forma” che non è solo sintesi di elementi aggregati e assemblati quantitativamente in modo caotico e informe ma, diversamente, questo luogo diventa lo specchio dell’esistenza stessa dell’uomo (Hanna 1985).
Il tutto trova dei riferimenti in Aristotele che definisce il luogo come il bordo interno di ciò che circonda le cose, quello che sta intorno alle cose perché per la cultura greca le cose non costituiscono un fatto ma un farsi. Le cose non sono ma accadono. Ciò trova riscontro sul fatto che sono proprio gli uomini con la loro capacità creativa a realizzare i luoghi e a trasformarli. In realtà l’azione dell’uomo non fa altro che “disegnare”, “scrivere” segni che danno vita a luoghi.
L’immagine del rifugio o della casa rappresenta un esempio di “scrittura creativa umana”: è uno spazio progettato per la vita che si realizza al suo interno e dove si trovano diversi luoghi. È importante poi che ci sia un confine che delimiti tutto questo.
Al riguardo risulta molto interessante percepire il valore e il significato del luogo come relazione tra spazio esterno (paesaggio naturale ed opera costruita) e spazio interno (uomo) attraverso il principio della percezione sensoriale e immaginativa, propria della cultura orientale. Prendiamo come esempio un santuario in un paese del Sol Levante (fig. 1): questo non è espressione di estetismo nella comune accezione del termine in quanto questo luogo si manifesta, in termine etici, per la relazione dialogica che viene ad instaurarsi tra l’uomo e la natura. Un interessante lavoro introspettivo capace di riconoscere nell’altro la piccolezza delle grandi cose, trascurando la grandezza delle piccole cose (Okakura 2007). In generale la cultura occidentale è accecata dalla logica e dal compiacimento delle parole e del sé; tutto questo non trova alcun significato nella cultura orientale dove è fondamentale rimettere al centro l’incontro tra uomo, cultura e ambiente. Per fare questo è molto importante osservare il mondo da differenti prospettive in grado di strutturare un rapporto plurimo tra le differenti realtà che interagiscono nella costruzione dell’essere e quindi di un luogo.
Fig. 1.
Così, il concetto di luogo che qui intendiamo presentare non è lo spazio cartesiano fatto di misure e forme ma è il luogo che nasce proprio quando cessa di esistere lo spazio, ossia quanto entrano in gioco le relazioni che si stabiliscono tra le cose e tra gli uomini. Quando la distanza tra soggetto e oggetto e tra più persone non è più misurabile, allora nascono delle relazioni e quindi un luogo.
Il luogo è infatti qualcosa che è percepito e sperimentato ogni volta dall’individuo che ne usufruisce. Nella cultura orientale e precisamente in quella giapponese la relazione del “vuoto” tra cose e persone non è creato dalle superfici che delimitano lo spazio, ossia dagli elementi compositivi, ma nasce dalla percezione di chi vive quel luogo e lo sperimenta in un dato momento. In questo senso il “vuoto” rappresenta un “luogo sperimentale” (Niglio 2019).
Questo significato è molto importante anche per noi occidentali, come avevano ben compreso già i Greci, perché il valore dello spazio costruito e il suo rapporto con la temporalità vengono per l’appunto superati da questa opportunità esperenziale propria di ogni individuo che vive e percepisce un contesto. Quindi ciò che ci interessa è analizzare il luogo, le relazioni e non lo spazio come sola entità fisica.
Il geografo Franco Farinelli afferma che lo spazio esiste per le sue misure ma cessa di esistere come tale quando diventa luogo, ossia quando la distanza tra soggetto ed oggetto non è più misurabile e questo accade quando iniziano tra loro delle relazioni (Farinelli 1987). Tali relazioni accorciano o allungano le distanze tra soggetto ed oggetto e mutano continuamente. Tutto questo non riguarda solo le relazioni tra gli esseri viventi ma anche con gli oggetti, con gli odori, i sapori, i rumori di questo luogo e quindi con le emozioni che questo è in grado di determinare. Aspetti relazionali che avvengono in un determinato tempo ma a sua volta indeterminabile perché modificato dai ricordi, dalle sensazioni e soprattutto dalla memoria che è in grado di parlarci con un proprio linguaggio che va oltre lo scorrere del tempo e lo stratificarsi degli eventi.
E proprio questa memoria, i profumi del luogo, i suoni che in esso percepiamo, sono tutti elementi che “disegnano” e “costruiscono” architetture invisibili che in realtà vivono solo dentro di noi e quindi dentro l’osservatore, dentro colui che sta vivendo un’esperienza in un determinato luogo, rievocando così anche altri luoghi, altre situazioni che forse abbiamo già vissuto o forse sognato ma che la nostra mente continuamente rielabora in funzione della nostra emotività e dei nostri sentimenti.
Di questi temi se ne era già ampiamente occupato Guy Debord, scrittore e filosofo francese che aveva elaborato una sorta di guida psico-geografica delle città in grado di condurre il visitatore in luoghi ben precisi e definiti dalle caratteristiche emozionali. Tutti elementi che poi restano impressi nella mente dell’uomo anche quando questo non abita più questi luoghi e questo perché quando uno spazio diventa luogo, per le relazioni che vivono in esso, rimane tale per sempre (Debord 2013).
Ad esempio, un’immagine di un’architettura in rovina e quindi con parti mancanti e di cui non abbiamo mai conosciuto la sua reale configurazione originaria, ha il potere di riconnetterci ad un passato che dura nel presente attraverso queste tracce ma imponendoci continuamente riflessioni su quella che è stata la sua consistenza e quindi stabilendo con questa rovina continue connessioni che danno vita a diversi luoghi (fig. 2).
Fig. 2.
Il luogo è infatti oggetto di percezione attraverso i cinque sensi, ma al di là del visibile, del sensibile, ogni luogo possiede un’identità che la percezione umana non riesce a definire completamente. Lo stesso accade per gli esseri umani: la percezione del corpo non esaurisce ciò che vorremmo conoscere della loro identità, per questo è stata inventata una parola che allude a ciò che i sensi non possono sperimentare direttamente: la parola “anima”. Qualcosa che non si vede, che non si può toccare, e non emette parole e profumi, se non metaforicamente. Ecco che il luogo rappresenta in un certo senso l’anima di un contesto, inteso come frammento del corpo del mondo, vissuto emotivamente: […] qualcosa che si può scoprire e descrivere a patto di saper vedere l’invisibile, ascoltare l’indicibile, toccare l’intoccabile... ascoltare il silenzio (Portoghesi 2020).
Sin dall’epoca dell’antica Roma, l’aspetto non visibile dell’identità di un luogo era considerato molto importante. Il luogo non era soltanto l’identificazione di un momento di sosta, questo rappresentava anche un percorso. Pensiamo ad esempio al tempio, prima di assumere forma architettonica, questo non era altro che il luogo della teofania ed era semplicemente un temenos, un confine, che successivamente si è trasformato in un edificio. Nel mondo greco il tempio è sempre stato legato a una particolare condizione del topos, ossia del luogo e questo è stato rappresentazione e simbolo della comunità. Pensiamo, ad esempio, al ruolo della piazza in una città; questa rappresenta l’identità culturale dei suoi residenti, il luogo di relazione e di condivisione e dove il tempio è il luogo esperenziale sacro della comunità (fig. 3).
Fig. 3.
Tutto questo non genera solo oggetti, così come siamo abituati a osservare, ma genera processi percettivi, elementi che vanno oltre il visibile e che sono in grado di influenzare i comportamenti e la partecipazione della comunità nel luogo che muta permanentemente. Così la potenza del luogo, insieme alla sua storia e ai valori semiotici, resta ben salda anche dopo diversi secoli, dopo che il tempo l’ha scolpita e trasformata, generando anche nuovi segni identitari.
Ne sono dimostrazione i templi, i luoghi sacri, i luoghi della religiosità e dei riti, che nonostante le trasformazioni, gli abbandoni e le rigenerazioni, continuano a narrare la loro storia. Questi luoghi sono custodi di storia, memoria, tradizioni, idee, e pertanto di elementi intangibili che sono sostanza vitale per l’identità della comunità. Nonostante i sempre più evidenti abbandoni di questi luoghi, la loro sacralità va oltre il valore della materialità e diventa spazio di relazione in grado di creare e custodire il vero senso del sacro. Possiamo parlare di genius loci della religiosità (Niglio 2017).
Il genius loci della religiosità
Con riferimento al patrimonio culturale religioso la visione più comune è quella di analizzare il modello, la forma, la tipologia. Ma la parola architettura, a cui ci riferiamo è composta di due termini: άρχή (arché) che indica l’origine, il divino e quindi la genesi di tutte le cose; e la parola τέκτων (técton) che indica differenti attitudini: capacità di inventare, di creare, di realizzare. Quindi l’architettura custodisce in sé il principio del sacro e il valore della creatività.
Pertanto, l’architettura non genera oggetti ma genera processi percettivi; così l’asse estetico si sposta dall’oggetto al processo della percezione del luogo, cioè dal manufatto materiale al luogo sperimentale.
Il luogo, quindi, non necessita di connotazioni fisiche, di limiti, di perimetri. Il luogo essendo custode delle relazioni tra cose e le persone ruota proprio intorno ai riti, alle ideologie, alle memorie, alle storie, alle identità che si generano grazie alle relazioni che avvengono in questo luogo.
Per questo motivo i luoghi hanno una loro memoria, un loro pensiero che si rigenerano costantemente attraverso nuovi significati determinati dalle relazioni tra l’uomo e il contesto.
Il luogo della religiosità diviene così genius loci di un pensiero, di una filosofia di vita dove la semplicità, la comunità, l’immanenza, il mistero, la trascendenza sono tutti elementi che contribuiscono a realizzare questo luogo di relazioni umane. Esemplare, nella cultura orientale, la sacralità immanente del paesaggio correlata alla vita dell’uomo (fig. 4). Con riferimento al pensiero shintoista è interessante osservare che si parla di “natura dell’umanità”.
Fig. 4.
Quindi è la natura dell’uomo alla base dell’idea per la quale gli esseri umani sono i bambini dei “kami”, ossia degli Dei. Così l’uomo ha ricevuto la vita dai “kami” e pertanto la vita umana è sacra. Il valore del sacro non è tanto il luogo ma questo in quanto vissuto dall’uomo. In secondo luogo, la nostra vita quotidiana e il nostro lavoro sono resi possibili attraverso la benedizione dei “kami”. Così persona e vita dell’essere umano sono rispettate, e come ognuno valuta sé stesso, così egli deve rispettare i diritti fondamentali degli altri, senza distinzione di razza, cittadinanza ecc. Questo rispetto dei diritti umani è la fondazione teoretica del movimento Shinto che si riflette sul rispetto della natura. Una concezione della sacralità che va oltre gli aspetti formali ma tocca profondamente quelli sensoriali e percettivi (Breen, Teeuwen 2014).
Nasce così la percezione di un luogo in cui gli esseri umani possono relazionarsi e riconoscersi, “creati per esultare, capaci di celebrare in un modo specifico ed espressivo gli eventi principali e la misteriosa grandezza dell’esistenza e così di pregustare già da ora alcune delle gioie della vita esterna” (Debuyst 2018).
Rileggendo il concetto di genius loci, anche in chiave cristiana, questi spazi devono esprimere un equilibrio tra natura e umanità, tra mistero e prossimità, tra nobiltà e semplicità, tra domus ecclesiae e domus Dei. Debuyst cerca nei suoi scritti di definire un sano equilibrio tra le due dimensioni: l’immanenza e la trascendenza, la familiarità e il mistero. Certamente il concetto del genius loci lo rintracciamo nella letteratura sin dall’epoca romana, secondo la quale a ogni luogo appartiene un genius, uno spirito, una particolare atmosfera, ma risulta molto difficile spiegare e descrivere cosa sia esattamente questo genius loci. Possiamo senz’altro asserire che si tratta delle capacità di un luogo di conservare i propri valori immanenti (Mautone 1999).
Tutto questo ci porta a riflettere sul valore dell’architettura del paesaggio e della sua sacralità. In oriente il sacro non esiste perché c’è un simbolo fisicamente riconosciuto; diversamente il sacro esiste a prescindere da un riferimento fisico e pertanto la sacralità di un luogo è tale perché è in grado di mettere in relazione l’uomo con sé stesso e con l’altro. È sacro un bosco, un fiume, una valle. La sacralità è un elemento distintivo di un luogo e si manifesta attraversa l’esperienza diretta con il luogo stesso. In questo contesto risulta interessante annotare come questa astrazione dal mondo materiale consente all’uomo di mettersi sempre in stretta relazione con lo spazio esterno, poco o per nulla edificato e tale da restare una matrice fondamentale dei luoghi sacri. È infatti indubbio che questi luoghi, se interpretano correttamente il loro significato, sono molto di più di un generico perimetro costruito. Ma risulta anche significativo evidenziare come questi luoghi sacri della natura vivono una stretta relazione con il contesto in cui sono immersi, come valorizzazione della matrice naturale con rimandi all’archetipo e al soprannaturale, tutti valori che si manifestano ad esempio chiaramente nell’osservare il Ramappa Temple a Palampet in India (fig. 5).
Fig. 5.
Diversamente nella concezione occidentale questa dimensione immateriale del luogo sacro tende ad esprimersi mediante l’azione dell’uomo, ossia attraverso la materialità.
Solo così possiamo comprendere perché in Oriente, ma anche nelle culture indigene latinoamericane, anche una pietra, un terrazzamento per la coltivazione del riso, una piccola isola o un albero diventano templi e santuari intangibili di una sacralità infinita.
In particolare, nella cultura orientale, il paesaggio è sacro perché è un luogo esperenziale dove ognuno si costruisce una sua mappa emotiva da percorrere e in continua variazione e trasformazione; una rappresentazione simbolica del territorio che riflette il punto di vista individuale di chi lo attraversa e in modo in cui ciascuno di noi adatta il mondo che ha intorno a sé e ne condivide la conoscenza con gli altri. Infatti, solo con una camminata lenta, o utilizzando un’espressione del filosofo francese Roland Barthes, una camminata moralizzante, noi possiamo auspicare e valorizzare la devozione dei luoghi ed il loro significato (Barthes 1964).
I luoghi sacri
Interrogarsi sui luoghi sacri significa entrare nell’essenza di uno spazio vuoto i cui contenuti sono definiti dal vissuto umano. Questo implica che nel trattare questo argomento dobbiamo essere in grado di percepire il luogo non come forma geometricamente definita bensì come risultato di una intuizione trascendentale. È quanto abbiamo cercato di analizzare finora. Tuttavia, il tema merita una riflessione di approfondimento. Il luogo sacro potremmo così interpretarlo come uno “spazio interumano” (Casper 2001), esistenziale e in cui la consapevolezza dell’essere ci induce a unirci al divino.
In realtà il luogo nel rispetto delle differenti determinazioni culturali e interpretative rappresenta uno spazio idealmente circoscritto che assume una connotazione fisica attraverso elementi materiali che lo descrivono e lo caratterizzano. Questa materialità rappresenta il nucleo narrativo che la comunità riconosce al luogo vissuto attribuendogli specifiche “personalità”. Un luogo intriso di elementi materiali e immateriali, di riferimenti naturali e culturali, definisce così il luogo costruito dall’uomo e con esso il paesaggio (Dallari, Niglio 2018).
All’interno dell’Explanatory Report to the European Landscape Convention (AA.VV. 2000), l’articolo 38 afferma che un luogo (il paesaggio) è definito come una zona o un’area percepita da persone o visitatori locali, le cui caratteristiche visive e materiali sono il risultato dell’azione di fattori naturali e/o culturali (cioè umani). Questa definizione consente di riflettere sull’evoluzione temporale dei luoghi quale conseguenza di un essere che agisce costantemente su di esso. Il luogo rappresenta quindi il paesaggio dell’uomo quale risultato dell’oggettivazione della realtà che è stata costruita attraverso lunghi e complessi processi di sedimentazione sociale e culturale. Si tratta di un ricco patrimonio ereditato che nel tempo ha disegnato i territori, definendo e delimitando gli spazi attraverso contenuti sedimentati nel tempo. Emilio Turri afferma che “ogni luogo è il mondo, il suo mistero, il suo segreto” (Turri 2003, 12) e quindi costituisce quell’insieme di significati e narrazioni che hanno materializzato lo spazio nel rispetto delle necessità umane (Turri 1998). In queste narrazioni individuiamo tanti percorsi e tra questi il tema del luogo sacro che è strettamente connesso al paesaggio culturale di riferimento. Cristiano Giorda, geografo italiano, afferma che l’idea di luogo sacro:
[…] unisce la componente immanente a quella trascendente: anche se si rivolgono a una scala cosmica, gli spazi sacri sono anche realtà locali, in relazione a scale diverse con l’ambiente naturale e l’organizzazione umana del territorio, sono costruzioni sociali e in un certo senso esistono in quanto prodotti di una data cultura in una data epoca e in un dato spazio geografico, definiti dagli stessi significati che riproducono e diffondono e dalla percezione che di questi valori è data dalle popolazioni (Giorda 2013, 931).
In questa costante rivisitazione dello spazio e del paesaggio dell’uomo il significato del sacro assume pertanto un importante valore percettivo e testimoniale. Il luogo sacro diventa così lo spazio in cui l’individuo incontra ciò che è altro da sé. I rituali, i pellegrinaggi, le liturgie, i ricordi, le sepolture, sono tutte modalità per riconoscere la sacralità di uno spazio (Bartolomei 2017, 123-140).
Il luogo sacro viene quindi assimilato ad uno spazio ben definito, proprio dell’esperienza spirituale, non necessariamente di carattere architettonico, pregno di valenze simboliche in cui la comunità riconosce e immagina il proprio rapporto con il divino mediante la pratica di riti religiosi (Jackson, R. H., Henrie, R. 1983, 94-107; Hoffman 2010).
Più specificatamente nel Codice di Diritto Canonico vengono definiti “loca sacra” (AA. VV. 1970; Can 1154) quei luoghi che sono destinati al culto divino e/o alla sepoltura dei fedeli mediante la consacrazione o benedizione. Come nelle altre culture si parla di luogo sacro o luogo di incontro con la divinità, così anche per il culto cristiano la liturgia prevede dei luoghi destinati a questo scopo, che per il mistero che in esso si celebra, sono considerati di valore sacro. Tuttavia, nell’accezione teologica di luogo sacro non ci si limita solo all’ambiente, ma anche e soprattutto alla santa umanità di Cristo che rappresenta il nuovo tempio di Dio.
Certamente il continuo interrogarsi dell’uomo alla ricerca delle proprie origini costituisce una base fondamentale per intendere il valore sacro di un luogo. Nascono così archetipi come l’albero, la pietra, gli ambienti ipogei, che aiutano l’uomo a materializzare questo valore sacro. Questi riferimenti sono al centro della letteratura semiologica, antropologica e della geografia umana e i dibattiti scientifici sull’argomento costituiscono una base importante per lo sviluppo di questo contributo.
Una letteratura sul sacro che è molto vasta e che in Occidente trova due interessanti traiettorie di sviluppo: da un lato il pensiero di Émile Durkheim (1858-1917), sociologo francese e dall’altro la proposta di Rudolf Otto (1869-1937), teologo tedesco luterano. Entrambi questi studiosi analizzano le teorie sul concetto di luogo sacro nella dimensione antropologica ma con intenzioni ed esiti diametralmente opposti. Infatti mentre Durkheim considera il sacro un prodotto della “pratica sociale”, per Otto il sacro è una categoria a priori dello spirito umano, irriducibile e inspiegabile, soltanto descrivibile. Più specificamente, per Durkheim il sacro è un fenomeno di natura emozionale socialmente prodotto dal rituale collettivo (Durkheim 2005).
Tuttavia entrambi gli studiosi ci aiutano a comprendere che è necessario ancora tenere ben distinte le due dimensioni proprie del culto, quella oggettiva, di carattere identitario nei confronti di una precisa comunità religiosa, e quella soggettiva, ossia propria dell’uomo che coltiva un legame specifico con il luogo in cui vive momenti significativi della propria vita. Per questo motivo il concetto di luogo sacro trova una chiara corrispondenza all’interno di quella immaterialità del sentimento religioso, costituito da un insieme di memorie e tradizioni che danno vita proprio alla sacralità del luogo (Calvi 2000, 228-247).
Infatti, la sacralità del luogo può essere spiegata da vari motivi. Proprio una attenta riesamina della storia comparata delle religioni evidenzia come i riferimenti che ci aiutano definire un luogo sacro sono dei più complessi e diversificati: dai miti che ci ricollegano all’azione divina, alla prossimità a luoghi in cui si è manifestato un fenomeno soprannaturale, o ancora particolari eventi religiosi, luoghi in cui sono nate persone santificate, ed ancora presenza di reliquie o altri oggetti sacri. Questo significa che i templi e i santuari, in generale, non esauriscono lo spazio sacro ma che questo può trovare una sua giustificazione in qualsiasi luogo. Anche una casa può esserlo, così come un luogo pubblico (figs. 6 e 7).
Fig. 6.
Fig. 7.
Conclusioni per avviare nuovi dialoghi transculturali
La storia ci insegna che il valore sacro costituisce un riferimento intangibile mediante il quale l’uomo ha cercato di dare risposte in merito alla sua stessa origine e ai suoi bisogni. La prima importante manifestazione del sacro è nell’ordine cosmico, nella lettura dello spazio. Questo ordine cosmico si materializza attraverso segni, simboli, linguaggi che hanno codificato tradizioni orali ma anche manifestazioni architettoniche. In tutte le culture i riti iniziatici hanno consumato, in luoghi sacri, non solo cerimonie propiziatorie ma anche sacrifici umani. Intanto il valore sacro di un luogo esiste anche senza una religione. La sacralità diventa infatti lo strumento con cui gli uomini prendono possesso dello spazio, del caos, del cosmo attraverso un processo ontologico. Quando questo processo ha avuto bisogno di attribuire valore simbolico alla configurazione dello spazio cosmico, in questo momento è nata l'architettura dello spazio sacro e quindi la materializzazione del luogo sacro.
Sia in Occidente quanto in Oriente la storia dell'architettura dello spazio sacro coincide con la storia della liturgia e quindi la forma geometrica è un simbolo spaziale della liturgia. Questo simbolo ha avuto importanti trasformazioni in relazione alle evoluzioni dei paradigmi liturgici (Sicignano 2012; Grisi 2019). L’architettura sacra, con la sua materialità, ha inteso andare oltre la visione cosmica e metaforica della realtà. Queste architetture hanno spazi delimitati di un mondo che appartiene a un cosmo indefinito ma allo stesso tempo hanno costruito ponti per unire l’uomo al proprio Dio. L’architetto, artista e scrittore di questi spazi sacri diventa così Pons Pontis, costruttore di ponti e dialoghi tra l'uomo e il sovrumano (Tagliaferri 2014, 475-476).
Soprattutto dalla seconda metà del XIX secolo abbiamo assistito a numerose riflessioni sul nuovo progetto dello spazio sacro costruito e su progetti di intermediazione culturale. Numerosi progetti di “decostruzione” di architetture sacre, per “ricostruire” nuovi spazi liturgici o anche nuove funzioni secolari, hanno spesso archetipi compromessi e simboli culturali originali. Questo problema assume ora un ruolo ancora più importante se analizzato in relazione ai fenomeni di globalizzazione e al dialogo multiculturale che hanno contribuito alla revisione dei paradigmi formali e delle convenzioni sociali. Una riflessione che trova riscontri interessanti in numerosi progetti di revisione degli spazi sacri consolidati e nella progettazione di nuove forme di sacralità. Tuttavia, questo importante dialogo tra culture richiede un contributo consolidato tra diverse discipline: storia dell’arte, filosofia, etnologia, liturgia, teologia, architettura, storia delle religioni. Quindi la ricerca del significato dello spazio sacro di oggi non può essere separata da questa natura interdisciplinare.
Nel 2009 Alksej Lidov, storico bizantinista russo, ha commentato: “L’ideologia positivista del diciannovesimo secolo, all’interno della quale si è formata la maggioranza delle attuali discipline, non ha visto nell’effimero spazio sacro un oggetto di indagine: la maggior parte delle discipline è collegata a materiali concreti: dipinti, architetture, rituali o testi scritti. La creazione di spazi sacri non ha nemmeno ricevuto un posto nell’attuale sistema degli studi umanistici, la cui struttura è stata determinata da modelli oggettocentrici, di descrizione dell’universo. Per fortuna però un campo di studio è stato formulato e ne sono nate importanti discipline con metodologie indipendenti e con propri linguaggi concettuali” (Lidov 2009). Nel frattempo, il luogo sacro, pur trovando origini antichissime, non ha mai assunto una propria autonomia disciplinare se non all’interno di altri ambiti di studio.
Da tutto ciò comprendiamo l’importanza di recuperare un dialogo transculturale al fine di valorizzare la pluralità delle identità e delle loro diverse implicazioni nel riconoscimento della sacralità di un luogo (Tuan 1980). Tali valori devono essere individuati all’interno delle singole comunità di appartenenza senza rinunciare ad un dialogo tra le culture. Solo intraprendendo questa direzione operativa possiamo contribuire a costruire un nuovo cammino che conduca la comunità internazionale verso un processo di valorizzazione culturale dove il patrimonio di interesse religioso possa così assumere uno strategico ruolo di intermediazione “diplomatico-culturale” fondato sulla fede.
Queste osservazioni non intendono essere esaustive di un tema molto ampio ma piuttosto avvicinare gli studiosi a porre l’accetto sul legame che unisce il luogo alle comunità, approfondendo così i differenti paradigmi identitari nell’ambito di un progetto interdisciplinare in cui l’interpretazione dei luoghi sia guidata da percorsi di convergenza e condivisione piuttosto che da rigide nozioni. Infine, il progetto di ricerca tuttora in corso con la Korea Foundation e la Seoul National University, e da cui ha preso spunto il tema di questo contributo, sulla base delle considerazioni qui espresse, si interroga su ciò che contribuisce a generare un luogo e auspica un’apertura verso tutti quegli apporti scientifici in grado di aiutare la conoscenza dei differenti luoghi, fondamentale interfaccia per alimentare e apprezzare il senso della vita sulla terra.
REFERENCIAS
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Author notes
aolimpia.niglio.53@hosei.ac.jp
ISSN: 1579-7414
Vol.
Num. 20
Año. 2021
I LUOGHI DELLA RELIGIOSITÀ E DEI RITI IN UNA VISIONE SOSTENIBILE
Olimpia Niglio
Hosei University,Japón
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